La denuncia è dei rappresentanti del personale tecnico-amministrativo nel Cda dell’Alma Mater. Colpiti i non docenti, dai custodi agli archivisti. C’è chi, per lavorare nel museo, dovrebbe aprire la partita Iva, ma la convenienza è nulla.
“Circa 200 precari impiegati nel settore tecnico-amministrativo dell’Università di Bologna sono rimasti senza lavoro nell’ultimo anno e molti altri rischiano la stessa sorte”. E’ questo l’allarme lanciato da Antonella Zago, consigliere d’amministrazione dell’Alma Mater e sindacalista della Rappresentanza di Base. Due le cause principali del taglio selvaggio al personale: la legge finanziaria 2006 che impone un tetto di spesa per le assunzioni a tempo determinato (fissato al 60% di quanto speso nel 2003) e il decreto legge numero 4 del 10 gennaio 2006, poi convertito in legge a fine marzo, che ostacola le assunzioni (o anche le ri-assunzioni) con contratti precari, per favorire l’appalto dei servizi ad agenzie interinali o a ditte esterne. “Sta diventando un problema grossissimo – sintetizza Zago - perché di fatto non c’è più la possibilità di trasformare i contratti di collaborazione in contratti a tempo determinato”.
Sono licenziamenti fantasma. Tecnicamente, infatti, non c’è nessun atto di fine rapporto. Al lavoratore, semplicemente, non viene rinnovato il contratto per un lavoro che, in molti casi, sta svolgendo da anni. Magari da precario, ma con una certa continuità. Di fatto, però, circa 200 persone sono rimaste a casa. “Nel marzo 2005 – racconta Zago - l’Università impiegava in questo settore 652 co.co.co o co.co.pro e 257 lavoratori a tempo determinato. Nel marzo di quest’anno siamo scesi rispettivamente a circa 500 e circa 150. Sicuramente, come sostiene l’amministrazione dell’Università, qualcuno avrà trovato lavoro in altra forma, magari vincendo un concorso e facendosi assumere con un altro contratto. La stima di 200 esuberi, però, è realistica. Oltretutto la Commissione Personale non ci ha fornito dati di previsione per il futuro, che invece abbiamo più volte richiesto. Il che ci fa temere altri tagli”.
Nella categoria di “personale tecnico amministrativo” rientrano gli incarichi più vari. In pratica, tutti i non docenti dell’Università: dai custodi ai contabili, dai tecnici di laboratorio agli archivisti, dai falegnami per la manutenzione delle strutture ai segretari. E’ ovvio che molti lavori non sono di pura manovalanza ed è impensabile che possano essere affidati da un giorno all’altro ad una agenzia interinale o ad una cooperativa di servizi. Eppure non sono rari i casi di ragazzi laureati, diventati esperti in lavori molto specialistici e delicati, magari all’interno di un museo, e adesso costretti a lasciare i progetti avviati. Con grave danno per le strutture che avevano investito su di loro tempo e denaro. Unica soluzione proposta dall’Ateneo: aprire una partita Iva e offrirsi come agenzia esterna di servizi. Ma aprire una partita Iva per guadagnare poche centinaia di euro equivarrebbe a lavorare gratis.
Le preoccupazioni di Zago sono condivise dagli altri rappresentanti del personale tecnico in Consiglio d’amministrazione: Giovanni Longo (Rdb), Maria Muccino (Cgil) e Patrizia Manzo (Cisl). Anche quest’ultima sostiene che la pratica dei licenziamenti fantasma è un problema “generalizzato, diventato ancora più serio con le ultime leggi del governo uscente”. “La soluzione – propone ancora Zago - è quella di indire concorsi per assunzioni a tempo indeterminato, riconoscendo un alto punteggio a chi già svolge quello stesso lavoro. Il blocco legale delle assunzioni, durato 3 anni, è finito nel 2005. Il problema vero è che la nostra Università ha preferito sempre assumere docenti, piuttosto che tecnici. Ma così si rischia il collasso: fra i grandi atenei d’Italia abbiamo il rapporto più alto fra docenti e studenti. Bene, ma si sarebbe potuto concedere qualcosa al settore amministrativo senza grandi sacrifici per gli altri: del resto, noi prendiamo di media 1.000 euro al mese. I professori, anche < >6.000”.
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